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26 luglio 2018

Marchionne, un protagonista

Sergio Marchionne, un abruzzese, un emigrante, un teatino arrivato alla guida della più grande industria italiana. La sua scomparsa troppo repentina produce un senso di smarrimento anche tra coloro che non hanno apprezzato le sue scelte.

Non ho mai visto un abruzzese arrendersi, mai visto aspettare che arrivasse un salvatore da chissà dove a regalargli un domani migliore. Gli abruzzesi cadono e si rialzano da soli, non perdono tempo a lamentarsi, ma fanno, producono, ricostruiscono. Credo che questo sia l'atteggiamento di cui ha bisogno l'Italia oggi.   

(Sergio Marchionne) 







La sua scomparsa viene salutata dai vertici delle grandi aziende come quella di un protagonista geniale dell'economia globale, c'è chi lo paragona a Henry Ford, chi gli riconosce il merito d'aver salvato la FIAT da un sicuro fallimento, ma c'è anche chi non potrà perdonargli la durezza di carattere.

Alcuni dati possono giustificare l'entusiasmo rispetto al suo lavoro:

Per fare un bilancio puntuale della gestione di Sergio Marchionne alla guida di Fca conviene sempre partire dai numeri. Quelli non mentono mai e si prestano difficilmente ad interpretazioni ideologiche e partigiane. In 14 anni, dal 2004, quando ne assunse la guida con Luca Cordero di Montezemolo i ricavi sono passati dai 47 miliardi di euro del 2004 (Gruppo Fiat S.p.A.) ai 141 miliardi di euro del 2017 (FCA, CNH Industrial e Ferrari). Il risultato netto è passato da -1,5 miliardi di euro del 2004 (Gruppo Fiat S.p.A.) ai 4,4 miliardi di euro del 2017 (FCA, CNH Industrial e Ferrari). Nel 2004 la capitalizzazione dell’allora Gruppo Fiat era di 5,5 miliardi di euro ed ora, tenendo conto di tutte le società nate dagli spin off (FCA, CNH Industrial e Ferrari), è di circa 60 miliardi di euro. Oltre dieci volte di più.

Però si tratta di dati finanziari, numeri che non ci danno il conto dei prodotti, delle vetture o delle persone impiegate. Sono soltanto profitti privati, ma credo che il giudizio debba tener conto anche dei fattori economici e degli effetti sull'economia reale.
«Marchionne era un manager capace, soprattutto per gli azionisti, ma certo poco o per niente attento alla storia e agli interessi industriali del Paese, il quale, d’altra parte, ha avuto una politica debole, priva di strategie industriali, che sostanzialmente ha lasciato fare, non si deve però dimenticare la complessità e gli errori che sono stati commessi in questi anni e che alla fine sono stati pagati dai lavoratori e dai giovani in cerca di occupazione. Mantenere una visione critica è la condizione indispensabile per provare a fare meglio»                          Nicola Rossi (governatore della Toscana)
Sergio Marchionne è stato l’«uomo della transizione». Ha portato la Fiat fuori dall’Italia. E l’Italia fuori dall’era industriale. Ma la sua eredità è piena di macerie. L’autoritarismo padronale dei referendum a Pomigliano e Mirafiori lascia centomila operai in meno, fabbriche vuote e un futuro incerto sulle auto di domani (Il Manifesto)
A un abruzzese fiero della propria franchezza sarebbe sciocco tributare un "servo encomio" e poco importa che i peggiori pennivendoli vogliano gridare allo scandalo per quello che ha scritto il Manifesto e per le parole del governatore Rossi. Lui, ne siamo certi, avrebbe preferito l'onestà e la chiarezza.

Marco Travaglio non riconosce alla sua opera né grandi meriti, né grandi errori e credo che anche questo giudizio gli sarebbe apparso semplicemente realistico. Marchionne riconosceva che le sue scelte erano necessitate dall'evoluzione globale dei mercati, il compito che si era assunto l'aveva obbligato a tradire (almeno in parte) l'Italia e i lavoratori italiani a cui forse, nel suo cuore, continuava a sentirsi molto vicino.

Credo che il prof. Fabrizio Schivardi su Lavoce.info abbia saputo darci la sintesi migliore dicendo che Marchionne è stato un incompreso. Non voleva tradire l'Italia traslocando la Fiat all'estero e cancellando 100mila posti di lavoro, voleva piuttosto scuotere il carattere degli italiani, farli uscire dalle logiche parassitarie degli aiuti pubblici tuttora perseguite da Confindustria, forse voleva farlo con una iniezione di abruzzesità, stimolando la voglia di competizione e di rivincita degli italiani. Non c'è riuscito e non è stato compreso.
in Italia è maggioritaria la quota di persone che pensa che la sfida della globalizzazione si possa vincere per decreto
Questa incomprensione ha portato molti a vederlo, nonostante il pullover, come l'ennesimo squalo che distrugge le industrie per ingigantire i profitti finanziari dei grandi speculatori. A me piace pensare che il pullover nero di Sergio Marchionne era un modo per distinguersi nettamente dai pescecani dell'alta finanza a cui lui non voleva assomigliare, infatti li riteneva destinati al suicidio di massa. Per salvare il patrimonio di Casa Agnelli è stato costretto ad agire anche lui come uno squalo, però abbiamo qualche indizio che ci aiuta a capire che sognava uno scenario diverso benché lui, da solo, non avrebbe mai potuto crearlo perché era un manager, non un rivoluzionario.
Mi disse di essersi ritrovato, durante un convegno negli Stati Uniti, a parlare a una platea di finanzieri assetati di sempre maggiori profitti a scapito dei lavoratori. E di avere pensato, mentre li guardava negli occhi, che prima o poi l’avidità li avrebbe distrutti. Massimo Gramellini  (Corriere - 22 luglio 2018)

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