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14 ottobre 2016

Condivisione e infamità


Martedì scorso il funerale di Fausto Di Marco ha riunito in piazza San Giustino una moltitudine di persone di straordinaria varietà. C'erano parenti e amici, c'erano i colleghi d'arte, musicisti e teatranti, c'erano le associazioni dei sordomuti, i compagni dei circoli di estrema sinistra, alcuni sembravano appena tornati dal raduno di Woodstock, e c'erano gli ultras che annoverano tra le loro file molti "camerati". Forse a Chieti non s'era mai visto un evento capace di riunire persone così diverse. 

La morte atroce, violenta, assurda del "brigante" buono ha compiuto uno strano miracolo, ha costretto gruppi che si sentono nemici a stare fianco a fianco nella condivisione dello sgomento e del dolore. L'autentica commozione di molti lo confermava e quando la folla gli ha tributato l'ultimo saluto con un applauso fragoroso di mani che sbattevano e altre mani alzate che si agitavano silenziosamente nell'applauso dei sordomuti s'è visto un momento di "pura condivisione". Il motto di Fausto.




Su questo miracolo Chieti deve interrogarsi. Non basta compiacersi di un miracolo compiuto da una persona che fino a pochi giorni fa si confondeva tra i tanti mentre passeggiava col suo cane e con gli abiti volutamente trasandati. La città deve interrogarsi perché Fausto non è morto per caso, non è stato vittima di un incidente. Fausto è stato brutalmente assassinato.

Nella nostra città probabilmente ci sono altri briganti buoni, silenziosi e inosservati, amici di tutti, anche dei cani e dei gatti, armati di chitarre e di poesia, pronti alla "pura condivisione", ma in città ci sono anche gli assassini, travestiti da bravi ragazzi, circondati di complici pronti a coprirli, a negare, a mentire e minacciare. Sono gli infami. Sono quelli che dicono agli altri "chi parla è un infame". Lo scrivono nei loro touch-screen. Si stringono tutti in difesa dell'assassino perchè sanno che domani potrebbero diventare loro stessi gli assassini. Loro che sguazzano giorno e notte nell'ordinaria banalità del male sanno che basta una birra di troppo, una battuta insopportabile, un gesto di stizza e tutto può succedere. In un lampo. Loro attraversano ogni giorno il deserto morale, si muovono tra i reticoli di invidie e di rivalità reciproche con la rabbia latente di chi non trova uno scopo. Loro non conoscono il piacere della condivisione.

Chieti dev'essere orgogliosa del suo brigante coi capelli lunghi, i sandali da vagabondo, il cane e la chitarra; deve seguirne l'esempio e farsi vanto della sua bandiera dell'amicizia e dell'assoluta onestà; ma Chieti deve anche prendere il coraggio di affrontare la propria anima sporca. Deve imparare a riconoscere e denunciare gli infami della porta accanto, deve far scendere dai falsi piedistalli i bulli dalla testa vuota, deve rieducare le belve dal sorrisetto beffardo.


Ci sono padri e madri che devono saper dire ai propri figli che infame è l'omertoso, che debole non è chi subisce, ma chi non sa subire, vigliacco è quello che si fa da parte, che non interviene a difesa della vittima, insulso è chi non prova compassione per le sofferenze e le difficoltà altrui. Non si è niente, non si è nessuno finché non ci si costruisce una personalità coltivando talenti e imparando a condividerli. Non si diventa uomini mischiandosi nel mucchio con lo smartphone e il giubbino alla moda o gareggiando in vanità. Si comincia a diventare uomini ripudiando l'odio, la violenza e l'infame vigliaccheria di tutti quelli che sabato notte stavano davanti al circolo di via Pescara. No, vi prego, non condividete paura e vigliaccheria.

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