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08 aprile 2009

Il terremoto



Saltare giù dal letto alle 3 e mezza della notte della domenica delle palme e correre in strada in pigiama ritrovandosi insieme a vicini di casa (qualcuno scalzo, qualcuno mai visto prima) è esperienza insolita di smarrimento comune. Ma fuori era tutto tranquillo, per noi è stata solo una notte di paura. Niente crolli. Però abbiamo avvertito subito il senso di tragedia dalle parole di un giovane che parlava al cellulare con amici residenti a L'Aquila. Parlavano di un palazzo crollato. Così abbiamo saputo della forza distruttiva del sisma prima di ascoltare le litanie della TV. Quella era solo una voce e consentiva ancora di scacciare dalla mente i peggiori presagi: "speriamo che non sia successo niente di troppo grave".

Siamo rientrati in casa dopo le quattro ed è arrivata la seconda scossa. Intanto erano cominciate le dirette televisive su Rai3 e Rete8. Le prime notizie riguardavano il crollo alla casa dello studente, le stradine impraticabili perché avvolte nella polvere, le grida della gente intrappolata nelle case, le persone ferite dalla caduta dei calcinacci. Forse un altro palazzo, forse una chiesa crollata, forse un ragazzo morto... Sapere qualcosa, far girare le informazioni, diventa in questi frangenti un modo per manifestarsi reciproca solidarietà ed esorcizzare la paura, però le notizie erano sempre peggiori: un morto, forse due, dieci, ventisette, novanta...

La furia misteriosa delle forze telluriche ha colpito l'Abruzzo nel suo capoluogo magico: L'Aquila.

Un lunedì trascorso nello sgomento e nel raccoglimento su ciò che si può fare, e poi all'una e un quarto di notte la terra ci ha scosso ancora. I demoni del sottosuolo continuavano a segnalarci la loro minacciosa presenza. Ieri, martedì, il numero dei morti ha superato i duecento e anche la pioggia ha voluto sferzare addosso ai sopravvissuti e ai soccorritori. Alle 11,30 abbiamo sentito un'altra scossa, ma ora prevale il senso del lutto, il bisogno di consolarsi raccontandosi quel che è successo. Il nome della nostra regione sta facendo il giro del mondo, come ai tempi del terremoto di Avezzano. Mio nonno fu emigrante in Argentina esattamente un secolo fa e là gli abruzzesi erano quelli della "terra ballerina". Oggi i salotti televisivi raccolgono storie del dramma: la nonnina di 98 anni che faceva l'uncinetto in attesa dei soccorsi, la madre e i due bimbi morti insieme abbracciati, i malati in fuga dall'ospedale. In Tv c'è anche Gabriele Cirilli che questa volta non parla per far ridere.

Come in ogni funerale si parla sottovoce, si evoca qualche ricordo di chi ci ha preceduto in cielo, alludendo ad un cielo che nessuno dei vivi conosce, così di fronte al terremoto l'immaginazione si volge agli inferi, alle forze nascoste nelle profondità della terra. Non senti parlare di cori angelici o di sogni d'aldilà, piuttosto storie di animali che avrebbero un sesto senso. La proprietaria di un maneggio ci racconta di come i cavalli scalpitavano già alle tre della notte e il cane abbaiava. Il mio cane invece dormiva anche dopo la scossa che aveva svegliato tutti. Gli scienziati difendono il dogma dell'imprevedibilità. Qualunque altra considerazione va respinta come credenza superstiziosa.

Così diventa una faccenda da rabdomante anche la teoria di Pierluigi Ighina e i suoi pozzi aperti nelle campagne di Imola per dare sfogo alle forze telluriche di cui egli sosteneva d'aver capito la natura; diventa esoterismo la teoria dello scienziato russo, Oleg Viktorovic Martynov, che associa i fenomeni sismici a quelli meteorologici. E questa volta c'è anche la storia di Giampaolo Giuliani, il ricercatore che indovina l'arrivo del terremoto misurando il gas radon che attraverso la terra risale in superficie. Non è l'unico a studiare le relazioni tra la presenza di radon e il verificarsi dei sismi, forse è l'unico che vuole parlarne, nell'ansia di fare qualcosa. Egli oggi è l'eroe, il temerario deciso a sfidare il drago a mani nude.




Una storia da raccontare sottovoce per il doppio paradosso che vede quel ricercatore accusato di un crimine (procurato allarme) e vittima egli stesso del terremoto, sfollato in mezzo agli sfollati. Una storia destinata a diventare leggenda o nutrire nuove leggende, perché mescola scienza e mistero. C'è il sogno di poter scrutare negli inferi misurandone la puzza radiattiva, c'è la volontà di domare le nostre paure e l'idea onnipresente che la scienza sia ostaggio di una casta dogmatica di cui Giuliani non fa parte.



Affascinato da queste voci che corrono sul confine incerto della conoscenza mi imbatto in un articolo interessante scritto pochi giorni fa dal prof. Francesco Stoppa, docente nella nostra università teatina. Qualcuno si chiederà se la tempestività dell'articolo non sia una prova ulteriore dell'esistenza di conoscenze "riservate", ma sarebbe inopportuno chiederlo. Possiamo accontentarci di quello che egli scrive: una denuncia della politica complice dei terremoti. Sì, esiste una politica che aiuta il terremoto a fare i suoi morti: la politica facilona che antepone gli affari e il menefreghismo ai suggerimenti della scienza, la disinvoltura del "fare" contro ogni cautela e prevenzione, l'insofferenza verso le regole. Una politica che uccide e talvolta ha anche l'ardire di tornare sul luogo della tragedia a chiedere gli applausi e la gratitudine per i soccorsi inviati alle vittime.


4 commenti:

Angelo ha detto...

Non so se esista questa politica di cui parli. Posso solo augurarmi di no, ma di fatto, data l'esperienza di ciò che la politica fa ogni giorno incurante di vita e salute di migliaia di cittadini non mi stupirebbe.

Quello che posso dire è che ieri sera, come tanti abruzzesi, guardavo "Ottovolante" ed ho sentito il vicepresidente abruzzese preoccuparsi di dover affermare che non si può fermare il progresso, riferendosi al fatto che per via di questa tragedia, non si può dire di no alle centrali nucleari ed ai termovalorizzatori.

Mi sono commosso per la fragilità di Chiodi, che era umana, nel suo dire "Gli abruzzesi sono gente tosta", con quell'inconfondibile tremore che hanno gli esseri umani quando si sentono a pezzi ma voglio dare coraggio a se stessi ed agli altri. Mi è venuto un vaffanculo spontaneo sentendo i vaneggi di Castiglione.

Orgoglio da un lato, vergogna dall'altro. Essere abruzzese è sempre difficile, anche quando la nostra beneamata terra non decide di ricordarci quanto siamo insignificanti e magari di avvertirci sulla tragicità delle strade che taluni intendono far intraprendere a tutti.

Tom P. ha detto...

@ Angelo

Quelo che ci riferisci mi sembra una ulteriore conferma della politica irresponsabile a cui alludevo nell'articolo. E' irresponsabile chi parla di progresso senza domandarsi quali saranno le conseguenze e i rischi per le persone. Dietro la bandiera del progresso si nasconde il menefreghismo che guarda solo ad un tornaconto immediato che può venire dall'energia ricavata dal petrolio, dalla fissione nucleare o dal bruciare immondizia. Un po' di energia da sprecare subito. Ma la stessa visione miope porta a mettere la zona di L'Aquila fuori dall'area ad alto rischio per poter costruire più facilmente con minori costi e poter recuperare strutture di cemento realizzate prima delle legislazioni antisismiche e proporle come moderni studentati e ospedali.
Non è la parola progresso che ci disturba, ma l'uso iposcrita di questa parola da parte di chi non vuol fare i conti né con i rigori dei calcoli scientifici, né con la resposnsabilità del futuro.

Tom P. ha detto...

C'è un tema che non ho mai toccato scrivendo sul blog e che si pone anche qui a chi volesse capire qual è la radice della politica "del fare" che non guarda il futuro.

TUTTO, SUBITO

QUELLO CHE SI PUò PRENDERE, HO IL DIRITTO DI PRENDERLO.

IL DIRITTO è SOLO UNO STRUMENTO CHE INTRALCIA IL PROGRESSO

Questi sono slogan della vecchia sinistra della rivoluzione anti-borghese, degli espropri proletari, ansiosa di perseguire un progresso visionario. Oggi gli stessi slogan sono utilizzati da una nuova destra affaristica, insofferente verso le regole, lo Stato, i controlli.

@enio ha detto...

visto che in Italia, mediamente, ogni sette anni c'è un terremoto, perchè non approviamo quella benedetta legge che permette di verificare se le cstruzioni sono costruzioni antisismiche ? Io non oso neanche pensare cosa sarebbe successo alla case sulla discesa di Via de Turre se l'epicentro si fosse trovato a Chieti Scalo invece che a 80 Km di distanza! Dobbiamo prevenire queste calamità come fanno in quelle nazioni ad alto rischio sismico con l'"educazione" e le politiche edilizie giuste. Per fare ciò si dovrebbe perseguire quei palazzinari che tentano di lucrare su tutto in modo da dare un esempio concreto a quelli che sarebbero tentati di fare lo stesso in futuro. Vi ricordate cosa si disse dopo il terremoto nel Molise ? La ricostruzione vera e propria, quella che serve alle persone, oggi, deve ancora cominciare!