Chieti è antica, è stata sede di istituzioni e centro di cultura, ma non ha impianti produttivi. Pescara è nuova, ha spiagge, palazzi, capannoni, dinamismo commerciale, ma la sua identità resta indefinita. Non vedo niente in cui queste due città possano trovarsi in competizione, sono troppo diverse, sono perfettamente complementari.
Lasciamo Pescara ai suoi problemi, che non sono i nostri, e anche ai suoi successi non sono i nostri. Vediamo invece se Chieti può tornare a svolgere un ruolo istituzionale, sociale e culturale per riacquistare un’importanza che sembra irrimediabilmente perduta. Da quale parte guardare? A me sembra che su questo non ci sono dubbi: l’epoca dello sviluppo industriale che ha arricchito Pescara è finita, stiamo attraversando una crisi economica politica e sociale che già ci ha trascinato verso l’orrore (più meno camuffato e oscurato) della guerra. La crisi finirà quando riusciremo a guardare senza angoscia al dimagrimento che il futuro ci impone.
Uno sguardo attento a questa prospettiva ci è stato offerto dalle sei conferenze organizzate presso l’Auditorium del Museo di Scienze Biomediche dall’Associazione Chieti Nuova 3 febbraio. L’ultimo incontro dello scorso venerdi 30 novembre era dedicato al “Pensare la decrescita”.
La decrescita può essere l’alternativa volontaria e programmata ad una recessione tanto travolgente quanto ingestibile. E’ necessario pensarci per tempo e qualcuno dice che sia già tardi, però conviene provarci. Su questa strada Chieti potrebbe avere un netto vantaggio rispetto ad altre città nate secondo le logiche dello sviluppo e della grande mobilità.
L’adesione alla Carta di Aalborg è stato già un buon segnale in questo senso, ma devono essere ancora compiuti i primi passi.
Se ci sono gruppi (e penso soprattutto ai giovani) che vogliono fare qualcosa, vorrei vederli capaci di attivarsi in questo senso, lasciando perdere tutte le sterili polemiche di campanile, di nome, di partito, di squadra…. Non dobbiamo copiare Pescara, non dobbiamo competere con Pescara, non dobbiamo puntare i riflettori sul Palazzo e sulle beghe (quasi sempre sterili) della politica. Dobbiamo guardare al concreto, con occhi aperti e non condizionati dalle esigenze di un’economia telecomandata. Dobbiamo guardare coraggiosamente al nostro posto, alla nostra vita, al nostro ambiente, alla nostra economia. Quello che trovate ai link delle “emergenze ambientali” va tenuto costantemente d’occhio, ma non basta. Dobbiamo fermare i possibili disastri, ma dobbiamo anche attivarci per fare cose nuove e dobbiamo lavorare per portarle avanti e l’inizio non sarà semplice.
Trascrivo qui alcune cose che mi sono appuntato ascoltando gli interventi all’incontro sul “Pensare la decrescita”:
- Demercificazione : ridurre i meccanismi di mercato che non sono funzionali a bisogni "veri";
- RES = reti di economia solidale;
- contrastare quei fenomeni per cui si acquista uno Yogurt prodotto a migliaia di chilometri di distanza, quando lo si potrebbe produrre in casa con meno spesa e risultati più genuini;
- la pubblicità non è una risorsa che aiuta i nostri progetti – la pubblicità spinge in senso contrario;
- GAS = gruppi di acquisto solidale;
- Commercio Equo e Solidale;
- Condominio sostenibile con servizi comuni che fanno risparmiare e risocializzare: lavanderie, laboratori per riparazione di oggetti, locali per organizzare il riciclaggio (pensate solo allo spreco di farmaci che ognuno tiene in casa solo per precauzione e alla possibilità di una cassetta condominiale);
- Bar-atto = luoghi pubblici in cui ci si incontra come al bar allo scopo di scambiarci gli oggetti che non si usano più (quanti telefonini inutilizzati nelle case dei ricchi potrebbero essere utilizzati da chi non cerca l’ultimo modello);
- Banca del Tempo;
Occorre riconcettualizzare l'idea del "benessere", recuperare la convivialità, liberarla dal suo legame con la disponibilità di denaro e di cose. Un processo difficile perché i bisogni sono sempre socialmente determinati; non possiamo rivoluzionare i bisogni a livello del singolo individuo, ma gruppi di giovani che siano capaci di muoversi gioiosamente e rumorosamente in questo senso potrebbero gettare le fondamenta di future istituzioni che saranno necessarie a governare saggiamente la decrescita.
Un’alleanza tra gli studenti universitari (ai quali l’economia è imposta per necessità) e i pensionati (insensibili per questioni di età ai richiami del consumismo) potrebbe fare molto e Chieti è il posto ideale per creare le condizioni per questa alleanza.
5 commenti:
complimenti,argomento molto interessante!
Vediamo che esce fuori dal dibattito su questo sito
saluti
Oooh Tommà..Bella sà battuta..però se posso fare un appunto.. " Hai dimenticato la lotta alle multinazionali..e la campagna contro la Ferrero " ..e poi la battaglia può partire..!!
Compagni..riunitevi e lottate!!
Non ho parole..Siete fatti con lo stampino.
Oh, ma che sei appena tornato da cuba?
Nun te n'cazzà ..come fai sempre..questo dovrebbe essere un paese democratico,no?
Ti saluto con affetto.
- 66100 -
L'argomento è veramente interessante, solo che come al solito ci sono imb.... che non lo capiscono. Ma Chieti può andare avanti co sta gente?
Una volta queste cose si chiamavano "autarchia", adesso qualcuno la scambia per la grande internazionale comunista. Mi sa tanto che la camomilla chietina è diventata allucinogena.
Buona vita
mastro Gen d'Alf
Non credo che sia una questione di allucinazioni da camomilla teatina, mastro Gendalf.
Sul piano delle ideologie hai senz'altro ragione: il comunismo "ateo" e materialista ha sempre perseguito lo sviluppo, dagli scritti economici di Marx, alle industrializzazioni forzate di Stalin fino alla sfida consumistica di Kusciov agli americani e, secondo me, si può arrivare anche a D'Alema che 'sogna' davanti alle scalate bancarie. Ma questo è il comunismo vero delle bandiere rosse con falce e martello, il partito dove si sono formati anche i dirigenti forzitalioti: da Bondi a Cicchitto, da Ferrara a Pecorella: "Dipinte in queste rive / Son dell'umana gente / Le magnifiche sorti e progressive". La formula magica dell'abolizione della proprietà privata è stata sostituita con quella altrettanto magica dell'abolizione delle tasse, ma l'obiettivo resta sempre quello di travolgere l'ordine costituito dell'odiata borghesia per accedere ad un paradiso terrestre.
Ancora attuale resta il leopardiano ammonimento: "Libertà vai sognando, e servo a un tempo / Vuoi di novo il pensiero, / Sol per cui risorgemmo / Della barbarie in parte, e per cui solo / Si cresce in civiltà, che sola in meglio / Guida i pubblici fati."
Invece il comunismo di cui parla l'anomino numerario (ma non solo lui, è luogo comune strombazzato dovunque) è tutt'altra cosa e perciò non offende. Credo che sia una sorta di simulacro da fattucchiera, sai quei fantocci da trafiggere come rituale di maledizione, un pupazzo imbottito con un po' di tutto: Prodi, Biagi, MOntanelli, Rosy Bindi, Benigni, Scalfaro, Consorte, Madre Teresa... si chiama anche catto-comunismo, non nel senso che sia cattivo, e nemmeno per ricordare a tutti che Marx era un bigotto e Lenin s'inginocchiava ogni mattina al confessionale del reverendo Rasputin (non ci crederebbe neanche Emilio Fede), l'ossimoro serve per far capire che nel fantoccio ci si può insaccare qualunque cosa e il suo contrario: hai parcheggiato davanti al mio garage? allora sei un catto-comunista! hai comprato il SUV che noi non ci possiamo permettere? catto-comunista! ti vuoi fare lo yogurth in casa snobbando le mie offerte speciali? sei proprio un autentico e spregevole catto-comunista, un servo di Fidel! Non è linguaggio politico, ovviamente, è solo un gergo da stressati che somiglia alle meravigliose scenette di Zelig tra Katiana, Valeriana e Claudiano, i finti amici di Maria De Filippi. Dir loro che non hai alcun interesse per l'ultima linea di borsette D&G è peggio di bestemmiare in Chiesa, non potrebbero pensare nemmeno per un attimo che stai dicendo solo quello che pensi, per loro la tua sarebbe solo una deliberata provocazione. Evidentemente anche la mia recensione della conferenza sulle questioni ambientali dev'essere sembrata tale al nostro amico.
Gli ambientalisti ci propongono percorsi faticosi e non offrono formule magiche. Una prospettiva difficile da digerire, lo capisco. Così in Italia proviamo ad esorcizzarla immaginando che il 90% degli scienziati facciano parte di una congiura catto-comunista ora capitanata da Al Gore. E' penoso, ma non è così solo a Chieti.
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