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08 dicembre 2018

Abbrutimenti su abbrutimenti

L'abbrutimento nel quale stiamo precipitando è incredibile. Si leggono storie di puro orrore. Perfino i peggiori camorristi che fanno ribrezzo a se stessi per ciò che hanno fatto, gente come Maurizio Prestieri, si spaventano dell'abbrutimento dei baby-camorristi che infestano certi quartieri del napoletano. Storie di donne ridotte in schiavitù dentro una baracca della campagna pugliese o siciliana o in un appartamento di città e c'è chi arriva a far prostituire la propria figlioletta di 4 anni.

Stiamo precipitando. All'abbrutimento molti reagiscono con una rabbia cieca che avvelena ancor più l'ambiente. Ne è stata testimone una giornalista di RaiNews24. Riprendo qui il suo racconto come riportato da Giulio Cavalli.




Roma, stazione Metro A, fermata San Giovanni. Una giovane rom con la figlia di 3-4 anni tenta di rubare il portafogli a un passeggero. Il furto viene sventato. Interviene un vigilantes. Il resto l’ha scritto Giorgia Rombolà, giornalista di Rai News 24 e l’ha raccontato così bene che non serve aggiungere altro:
“Ne nasce un parapiglia, la bambina cade a terra, sbatte sul vagone. Ci sono già i vigilantes a immobilizzare la giovane (e non in modo tenero), ma a quest’uomo alto mezzo metro più di lei, robusto (la vittima del tentato furto?) non basta. Vuole punirla. La picchia violentemente, anche in testa. Cerca di strapparla ai vigilantes tirandola per i capelli. Ha la meglio. La strattona fina a sbatterla contro il muro, due, tre, quattro volte. La bimba piange, lui la scaraventa a terra”.

Giorgia Rombolà interviene chiedendo di non picchiare la ragazza, davanti agli occhi della bambina.
“Un tizio che mi insulta dandomi anche della puttana dice che l’uomo ha fatto bene, che così quella stronza impara. Due donne (tra cui una straniera) dicono che così bisogna fare, che evidentemente a me non hanno mai rubato nulla. Argomento che c’erano già i vigilantes, che non sono per l’impunità, ma per il rispetto, soprattutto davanti a una bambina. Dicono che chissenefrega della bambina, tanto rubano anche loro, anzi ai piccoli menargli e ai grandi bruciarli. Un ragazzetto dice se c’ero io quante mazzate. Dicono così. Io litigo, ma sono circondata. Mi urlano anche dai vagoni vicini. E mi chiamano comunista di merda, radical chic, perché non vai a guadagnarti i soldi buonista del cazzo. Intorno a me, nessuno che difenda non dico me, ma i miei argomenti. Mi guardo intorno, alla ricerca di uno sguardo che seppur in silenzio mi mostri vicinanza”.

Ma il nodo della questione è tutto nelle ultime righe: “Cammino verso casa, mi accorgo di avere paura, mi guardo le spalle. E scoppio a piangere. Perché finora questa ferocia l’avevo letta, questa Italia l’avevo raccontata. E questo, invece, è successo a me”.

Ed è proprio questo il punto: sdoganare la violenza e la vendetta non può mai essere indolore. Ogni granello di ferocia gira, come le pallottole, e prima o poi torna. Quando arriverà in faccia a noi non ci ascolterà nessuno perché saremo noi a essere sbagliati: ci vuole poco per spostare un limite etico e poi ci vogliono anni per riportarlo indietro.
Buon venerdì.

Le lacrime della giornalista e il suo racconto non riesco a riaprire neanche uno spiraglio di umanità, perché c'è un altro tipo di giornalismo che già  la soverchia.

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