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18 gennaio 2013

Il bombarolo di Chieti

Sono già tre gli attentati attribuiti allo stesso uomo, ormai indicato come il bombarolo e arrestato oggi a Rosciano. Di lui erano state diffuse subito le immagini e le generalità. Ha piazzato un ordigno in una casa di Cepagatti, un'autobomba davanti al Palazzo di Giustizia di Chieti e ha appiccato un incendio ad una villetta nella zona di Madonna degli Angeli.
Non siamo abituati a questo genere di situazioni. L'una-bomber è un fenomeno americano. In Italia ne abbiamo avuto uno friulano (quello degli ordigni nascosti nei giocattoli) ma da noi sembrava impossibile. 


Il caso ha voluto che la stessa sera dell'attentato un vicino di casa mi ha chiesto se avevo dimenticato la borsa davanti al portone. Non era mia e non apparteneva a nessuno dei residenti nel condominio. Abbiamo avuto la tentazione di guardarci dentro per vedere se c'era un'agenda con un numero di telefono da chiamare, tanto siamo a Chieti - ci siamo detti - non c'è alcun pericolo di bombe. Poi il mio coinquilino ha preferito chiamare il 113 senza aprirla. Meglio così. Solo il giorno seguente abbiamo saputo dell'automobile esplosiva al Tribunale e abbiamo capito che la prudenza non era stata eccessiva. Chieti non è immune da rischi.

Si tratta di terrorismo politico? Al Qaeda oppure è un pazzo? Per capirlo sono andato a leggere le notizie sui giornali, ricche di dettagli sui fatti, sulle persone coinvolte, con nomi di carabinieri e di inquirenti e le immagini del 'bombarolo'. Si parla di messaggi inquietanti, minacce di scontri lunghi e sanguinosi, moventi misteriosi, pareri di psicologi ed infine un riferimento a lettere inviate a Obama e a Napolitano che completano il ritratto di un folle in guerra col mondo. Massima allerta, scrivono i giornali, ma in realtà la gente non s'è allarmata. C'era anche poca curiosità.

Nei commenti lasciati sotto gli articoli della stampa telematica (alcuni sono già stati rimossi) ci sono battute ironiche e anche qualche segnale di apprezzamento che non sembra per niente ironico. Perché questa insolita reazione? perché nessuno ha paura del pazzo? perché qualcuno arriva perfino ad approvare i suoi gesti criminali? Probabilmente perché l'uomo, che non è pazzo, ha lasciato messaggi con cui si è fatto capire. I suoi attentati sono dimostrazioni di forza organizzate in modo da non fare alcun male. Prendono di mira edifici simbolici (il Tribunale, un condominio in cui lui aveva fatto lavori, la villetta di Chieti pare fosse una proprietà rientrante nel fallimento Angelini). Agli agenti che lo hanno arrestato ha chiesto qualche giorno in più per fare due cosette a Roma. Lui stesso aveva detto fin dall'inizio che si sarebbe consegnato alle forze dell'ordine al termine del suo compito.

I giornalisti fingono di non capire (forse c'è il timore dell'emulazione) ma la gente ha capito bene il filo che lega i diversi obiettivi del bombarolo: il lavoro (fatto, mancato o non pagato), la in-giustizia, la corruzione, la capitale. E ci sono dettagli molto emblematici: la mancanza di telecamere di sicurezza davanti al Palazzo di Giustizia è simbolo di una giustizia completamente abbandonata a cui si aggiunge una "caccia all'uomo" che non riusciva a vedere il bombarolo che continuava a girare indisturbato col suo riconoscibilissimo camper; quel video in cui mostra con diabolica cortesia la perfezione del suo ordigno che viene poi ritrovato con le bombole chiuse sembra il segno di una calcolata gentilezza; e infine quella villetta che quasi nessuno avrebbe saputo ricollegare al più grosso scandalo politico della nostra regione. Talmente chiaro il discorso che non ha bisogno di aggiungere altro quando dice che doveva completare l'opera a Roma. Se lo paragoniamo all'ispettore di polizia che pochi giorni fa ha dichiarato con tranquilla sicurezza ad una nota trasmissione radio di voler entrare in Parlamento per sistemare tutti con la sua pistola d'ordinanza, il fucile a pompa e la sciabola da samurai, il nostro bombarolo sembra Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo.

Nel sito internet del bombarolo ci sono molti scritti che consentono di seguire i suoi interessi e i suoi percorsi mentali. Nel poco che ho letto non ho trovato niente che possa dare una spiegazione agli attentati, ma ho trovato molte evidenze di una persona che vuole capire e vuole partecipare in modo positivo alla vita collettiva. Possiamo discutere del suo motore con l'aggiuntivo magnetico, possiamo obiettare sulla validità delle teorie di Sichtin o di Biglino, possiamo non condividere i risentimenti che l'hanno indotto ai suoi ultimi gesti eclatanti, ma non possiamo non riconoscere la matrice del suo disagio. E' la stessa matrice che porta molta gente alla depressione e al suicidio oppure a seguire movimenti politici eversivi.

Ieri sera Beppe Grillo era in Piazza San Giustino, proprio di fronte al portone bruciato del Palazzo di Giustizia. Dal suo palco uno dei suoi candidati ha usato proprio l'esempio dello scandalo Angelini per marcare la necessità di un profondo rinnovamento politico e morale. La risposta di Grillo ai diffusi problemi sociali non è una risposta criminale, è una risposta politica pienamente democratica. Lui può farlo perché ha i mezzi per farlo, sa usarli ed è protetto dalla sua agiatezza economica. Però non dimentichiamoci che in una sana repubblica democratica anche il vaffa di Grillo e la sua volontà di azzerare l'intera classe politica sarebbe un metodo folle per perseguire un obiettivo altrettanto folle.

La nostra società mostra lacerazioni che producono queste risposte estreme. E forse Grillo non mente quando ci dice che il suo movimento ci sta salvando da estremismi ancor più pericolosi e violenti. Non voglio unirmi né ai bombaroli, né ai grillini. Credo ancora nella possibilità di una ricostruzione civile e non violenta, ma non possiamo non chiederci se insieme alla responsabilità di chi reagisce male non si debba porre anche una responsabilità di chi ha causato lacerazioni così profonde e diffuse del tessuto economico-sociale, in altre parole ci dobbiamo domandare se non è arrivato il momento di pretendere un risarcimento dei danni da chi ha lecitamente compiuto le scelte che hanno generato un disagio troppo diffuso ed insopportabile.

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