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29 gennaio 2013

Gli ebrei di Chieti

Ieri gli studenti di alcune scuole superiori hanno illustrato una ricerca sui registri scolastici. Molti verbali, lettere e annotazioni degli anni precedenti il secondo conflitto mondiale mostrano la penetrazione dell'ideologia razzista nelle scuole di Chieti: voglia di censire, isolare ed emarginare gli italiani di religione ebraica, assurdamente qualificati come "razza".

Negli archivi scolastici gli studenti hanno trovato tracce documentali dei certificati di ebraicità, delle espulsioni, delle dispense dall'insegnamento. E' una ricerca che vale a smentire la comoda leggenda degli "italiani brava gente" e l'altra leggenda che tende ad allontanare certi sgradevoli ricordi supponendo che a Chieti non è successo niente.

Non è vero che le persecuzioni razziali appartengono solo alla storia del nazismo tedesco e che gli italiani non vi presero parte. Non possiamo assolverci tutti citando quei casi in cui gli stessi fascisti si sarebbero eroicamente opposti agli eccidi. Non bastano i nobili gesti di Giorgio Perlasca e di Giovanni Palatucci a quietare le coscienze.




Il prof. Filippo Paziente ha ricostruito anche gli esiti, talvolta tragici, di quello zelo burocratico: Giorgio Cohen, Mosè Spizzichino e Gemma Vitale sono finiti nei campi tedeschi di Aushwitz e Dachau. Giulia Volterra è stata salvata dall'intervento del vescovo mons. Venturi. Alcune famiglie di onesti e laboriosi teatini (Terracina, Trevi, Panzieri) sono sparite. Annullati per una condanna invisibile, inappellabile, immotivata.

Alcuni documenti erano impressionanti: le comunicazioni di dispensa dall'insegnamento per il prof. Schumann, che insegnava tedesco all'istituto Galiani, e per Giulia Volterra, che aveva un incarico di supplenza nel medesimo istituto, recano la firma dell'allora vice-preside Marino Covich, sposato con un'ebrea. E' quasi impossibile immaginare l'animo di quel professore nel momento in cui incombeva su di lui l'obbligo di applicare le leggi razziali ai due colleghi, sapendo che la stessa minaccia si sarebbe potuta abbattere anche sulla propria famiglia, come in effetti avvenne.  Non capì che era già arrivato anche per lui il momento di fuggire da quella Italia divorata dall'odio.

Era il 1938. Nessuno immaginava che a breve l'Italia si sarebbe trovata coinvolta in una lunga e terribile guerra. Tutto era apparentemente tranquillo. C'era ancora il clima di esaltazione per la proclamazione dell'impero. Ma cosa disse Covich alla moglie in quei mesi estivi e autunnali del 1938? Come riuscì ad accettare quello che stava facendo? Forse pensò ingenuamente che la sua obbedienza alle scellerate leggi emanate da Mussolini e Vittorio  Emanuele III° gli sarebbe valsa come salvacondotto. Così non è stato. Forse pensò che la perdita del lavoro non è ua questione di vita o di morte. Si sbagliava. La persecuzione poi arrivò anche per la sua famiglia e non riuscì a salvare il proprio figlio che fu fucilato dai tedeschi. Quando ci si incammina su un sentiero di odio non c'è più salvezza per nessuno, né per le vittime, né per i carnefici. L'obbedienza al potere e la vile complicità non rappresentano soluzioni, aprono la porta agli orrori.

Nelle vicende rievocate ieri pomeriggio al Liceo Vico ho ritrovato anche frammenti della mia memoria familiare. Mio padre, che in quegli anni frequentava l'Istituto Galiani, mi raccontava di aver studiato tedesco con una professoressa giovane e bella. Ricordava vagamente che un altro docente era stato sostituito a causa delle leggi sugli ebrei, ma non sapeva dove fosse andato né qual'era stato il suo destino. Ora, grazie al prezioso lavoro del prof. Paziente, sono riuscito a colmare quelle lacune della memoria: il professore allontanato era Alfred Schumann, fuggito con la moglie dopo aver ricevuto la prima comunicazione del luglio 1938, quando i decreti sulla razza non erano ancora stati emanati.

A ottobre al suo posto fu chiamata Anna Keim, la bella tedesca il cui fascino non aveva impressionato solo mio padre. Nessuno allora immaginava che sarebbero bastati pochi anni per cambiare completamente opinione sui tedeschi e sul fascismo; per ripensare con angoscia e senso di colpa a quel professore partito improvvisamente e mai più tornato, a quell'alunno del Liceo Vico, al direttore dell'Ospedale Civile di Vasto, dott. Pedalita, e al prof. Oberdorfer morto nel campo di concentramento di Lanciano.

Ieri ho scoperto che il prof. Schumann si salvò raggiungendo New York. E almeno questa è una buona notizia. Vorrei poter dire che le tristi e tragiche vicende attraversate dai nostri genitori e nonni dovrebbero darci la garanzia che non succederà mai più, ma purtroppo questa garanzia non ce l'abbiamo e ogni giorno vediamo segnali di odio, pregiudizi e discriminazioni. Vediamo anche gruppi di giovani moralmente svuotati e fisicamente allevati come cani da combattimento. Perché?


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