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31 ottobre 2012

Le province tra politica e geografia

Il sindaco Di Primio è arrivato alla forma più estrema di protesta per evitare a Chieti la perdita del capoluogo: lo sciopero della fame davanti a Palazzo Chigi.
Sulla questione della provincia ho già scritto il mio parere, penso che ragioni oggettive, oltre che storiche e politiche, pongono Chieti in una situazione difficilmente recuperabile. Tuttavia la forte presa di posizione del sindaco mi sembra ammirevole. Chieti ha sempre ceduto di fronte alle decisioni calate dall'alto. In questo caso sarebbe stato molto facile dire che non è colpa di nessuno perché la decisione l'ha presa un governo tecnico. Invece il sindaco sta tentando di richiamare l'attenzione sulle conseguenze economiche e sociali di una decisione geometrica basata solo sui numeri. Non vorrei che anche questa volta (come tante altre) la mia opinione venga scambiata per una simpatia politica, ma credo che il sindaco in questo momento merita tutto il nostro sostegno.




Leggo su PrimaDaNoi che la battaglia è già persa (almeno nel primo round col ministro) e vi trovo anche l'ennensima conferma di un governo che non ha il coraggio di riconoscersi nelle proprie decisioni: dichiara una cosa e decide in senso opposto. Una tecnica che ormai si sta ripetendo per ogni settore e che getta gravi sospetti su un governo che sembrava avere un alto profilo, almeno sul piano tecnico.

Poi mi avvilisce molto la lettura dei commenti dei lettori in calce alle notizie: campanilismo, accuse ai presunti fannulloni, voglia di risparmiare sulla pelle del prossimo, ecc. Ogni annuncio scatena i peggiori contrasti. Su questo voglio dire qualcosa. Chi legge abitualmente  il mio blog conosce la mia avversione ai campanilismi, sa che non ho alcuna antipatia per Pescara (la città più grande, moderna e dinamica d'Abruzzo) e le mie proposte da sempre sono orientate alla limitazione degli sprechi, perciò spero di non essere frainteso in quello che dirò.

La politica non è geografia

La soppressione dell'ente politico provinciale (tutte le province) produce qualche risparmio. Potrebbero sparire i consiglieri e gli assessori provinciali con i loro uffici, ma la geografia italiana resterebbe intatta, con tutti i servizi distribuiti sul territorio come sono adesso. I servizi attualmente gestiti dalla Provincia sarebbero affidati ad altre gestioni (comunali o regionali) e la spesa non cambia. Questa operazione avrebbe prodotto un risparmio dell'ordine di 200 milioni per l'area politica e potrebbe al massimo raddoppiare considerando anche l'area burocratica: 400 milioni in tutto, circa 6 euro l'anno per ogni italiano. Però non avrebbe prodotto conseguenze negative. Invece la semplice riduzione (da 86 a 51) del numero delle province produce un risparmio molto inferiore (circa 150 milioni) che probabilmente verrà perso per risolvere le complicate questioni di riassetto delle amministrazioni. Si tratta quindi di una riforma puramente ornamentale. Il governo lo sa, ma la farà ugualmente perché non ha la forza di abolire tutte le province e non vuole ammetterlo. E questo credo che l'hanno capito tutti.

Le incomprensioni emergono quando si confonde l'ente politico (Presidente, Consiglio, Giunta e relativi staff) con la geografia dell'Italia. Mantenere le province alterando il numero significa ridisegnare la geografia costringendo molte amministrazioni publiche e private a rimodellare la loro rete territoriale con trasferimento di sedi di uffici e direzioni. Non credo che questo scombussolamento porterà vantaggi o risparmi perché i servizi non dovrebbero essere aboliti. La manutenzione delle strade, solo per fare un esempio, se non la farà più la provincia dovrà farla qualcun altro pagando gli stessi operai.

Dagli al fannullone

Purtroppo da qualche anno è scoppiata la moda di considerare tutti inutili fannulloni come i farmacisti, i notai, gli avvocati, gli insegnanti, i postini, i vigili urbani, i commercianti, i giornalisti... adesso tocca agli impiegati della provincia e delle imprese che lavorano su commissione della provincia; mi domando dove stanno nascosti gli invisibili veri lavoratori che possono lanciare queste accuse. Cosa fanno quelli che gridano al fannullone e pretendono dai politici queste riforme tanto appariscenti quanto dannose. Un mio amico sostiene che le accuse vengono quasi sempre dai disoccupati e dai pensionati e quindi sono loro a svolgere l'unico vero lavoro produttivo: fanno gli indignati sulla panchina del giardinetto e son convinti che sia quella l'unica attività importante e produttiva: senza di loro la società si ferma. Io penso che il vecchio metodo del "divide et impera" ci stia portando verso un odio sociale molto pericoloso. Quella sciocca indignazione verso la fannullaggine del prossimo, che viene esibita da molti quasi come una morale civica, nasconde il vero e profondo male dell'Italia. Molti servizi sono essenziali e gli stessi che lanciano accuse ai presunti fannulloni sono spesso i più esigenti nel chiedere servizi efficienti, quindi c'è poco da abolire. Al più possiamo fare in modo da evitare inutili duplicazioni di funzioni e semplificare un po' il livello decisionale. Con la provincia unica Chieti-Pescara è questo che si farà?
 
Al posto di due uffici con 50 impiegati ce ne sarà uno con 100 impiegati: è solo un trasloco moltiplicato per 80 settori diversi. Ci sarà un solo Questore e un solo Prefetto, un solo direttore dell'INPS e un solo direttore dell'Agenzia delle Entrate, ma non credo che il lavoro oggi svolto da due impegati o due operai potrà essere concentrato e accollato a uno solo, a meno di non voler distruggere totalmente la qualità dei servizi. Il vero effetto di tutto questo è una mera redistribuzione geografica. Alcuni luoghi vedranno salire i valori immobiliari, il prezzo degli affitti, il numero di residenti e altri luoghi perderanno vitalità e valore.

La nuova geografia

Alcune città potranno così riassorbire i loro satelliti: Potenza si riprende il territorio di Matera; Perugia si riprende Terni e Firenze si riprende Prato. Però tra Modena e Reggio Emilia , tra Parma e Piacenza, tra Ascoli e Macerata chi avrà la meglio? Sono territori simili e sono centri urbani di pari livello. Una norma ha fissato anche in questo caso il criterio ideologico attualmente dominante: sostegno al più forte: la città col maggior numero di abitanti viene premiata a scapito della città più debole che viene condannata. Mi sembra un gioco stupido. Questo principio da noi realizza il paradosso ben noto: l'unica provincia che aveva tutti numeri per sopravvivere viene assorbita di fatto dalla provincia più piccola e più giovane. Per Chieti, già depressa per altre ragioni, è quasi una condanna a morte. Badate però che qui non si tratta di salvare un nome o una storia (che forse stanno a cuore solo ai teatini) qui bisogna anche ragionare in termini pratici, cioè economici e sociali. Conviene spingere una massa di persone verso i centri più grandi? E' una buona gestione del territorio provocare un transito di uffici ed altre attività da Reggio Emilia (172.000 abitanti) verso Modena (186.000) o da Macerata (43.000) verso Ascoli (51.000) o da Piacenza verso Parma? e perchè? Non sarebbe più corretto evitare le concentrazioni urbanistiche e favorire le dimensioni del vivere più a misura d'uomo? A chi giova un pendolarismo dei riminesi (150mila) verso Ravenna e dei pratesi (quasi 200mila) verso la già congestionata Firenze? Forse c'è un costo per mantenere una buona distribuzione della popolazione sui territori,  ma non può essere considerato uno spreco perché alza la qualità della vita, riduce il pendolarismo con tutte le sue conseguenze.

La mia impressione è che un trovata populistica poco ragionata (aboliamo le province per risparmiare soldi pubblici) si sta trasformando in un boomerang e rischia di ridisegnare la geografia italiana in modo del tutto irrazionale.

Le regioni e il federalismo che non c'è

Aggiungo qui una osservazione che ho già fatto nel precedente articolo: sarebbe stato più opportuno un ripensamento sulle regioni che si sono dimostrate troppo deboli di fronte alle consorterie locali, alle mafie e alle clientele politiche, ma troppo grandi per interpretare gli interessi dei cittadini e sollecitare la loro partecipazione. Un finto federalismo ha prodotto enormi sprechi che non sono solo quelli molto visibili delle ruberie, ma anche quelli invisibili creati dall'incertezza del diritto. In ogni settore la difficilissima divisione di competenze tra norme statali e regionali crea inutile burocrazia, ricorsi, ripetizione di procedure con costi difficilmente calcolabili e complicazioni che rallentano e scoraggiano ogni attività. Le regioni contribuiscono così alla diffusione di quel senso di frustrazione sempre più diffuso in chiunque voglia fare qualcosa e non riesce neanche a trovare qualcuno che possa indicargli l'ufficio a cui rivolgersi.

Invece di inseguire il populismo delirante dei leghisti che ha portato nel 2001 a una pessima riforma "federalista" della Costituzione, forse sarebbe stato meglio un decentramento amministrativo (non legislativo!) articolato proprio sulla dimensione provinciale.

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