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29 dicembre 2009

Vere e false tradizioni

Il Museo Civico di Leonessa rappresenta un ottimo modello per quello che si potrebbe realizzare a Chieti. Raccoglie oggetti e documenti storici ma anche memorie popolari, usanze e tradizioni. Tutti elementi necessari alla struttura che potrebbe diventare il fulcro di un sistema di promozione di ciò che abbiamo definito "turismo di ritorno".

Il ritorno alle proprie radici non riguarda solo i figli e i nipoti di emigranti. Anche noi abruzzesi che siamo rimasti qui siamo esposti al rischio di smarrire la nostra cultura e la nostra identità. Anche noi abbiamo bisogno di conoscerci meglio coltivando un legame con le storie, le credenze e le tradizioni che hanno fatto di noi ciò che ora siamo. Il rischio non viene tanto dall'incontro con altre culture, ma piuttosto dall'ignoranza e dalla trascuratezza.

Dove domina l'ignoranza non si produce niente e si cade anche nel ridicolo. Il senso di identità non si può costruire su invenzioni e buffonate come i raduni leghisti in camicie verdi, con elmi cornuti e ampolle sacre del fiume Po. Anche in Abruzzo l'estate è punteggiata di cortei medievali allestiti mescolando dame e cavalieri, paggetti e sbandieratori, tutti abbigliati per un carnevale a tema fatto di porchette, balestre e calzamaglie colorate.

L'ignoranza costringe a costruire l'identità in opposizione all'altro, al presunto nemico. L'ignoranza alimenta la paura e la ricerca di identità diventa solo un modo per opporsi al diverso: l'africano, l'islamico, il cinese, il rom. Emblematica è la recente difesa del crocifisso fatta da gente che ormai non sa neanche i nomi dei quattro vangeli. Discutiamo del crocifisso come simbolo sacro o simbolo etnico senza vedere che i nostri figli non conoscono né le parabole, né i comandamenti. La loro religione è il consumismo, quello che i cristiani chiamavano "mammona". Ed ora i servi di mammona vorrebbero mettere il crocifisso a mo' di gagliardetto anche sui mercati e sulle bische. Tanto per segnare il territorio. Qualcuno ha proposto perfino di metterlo nella bandiera, dove un tempo c'era lo scudo sabaudo. Si torna al principio del "cuius regio, eius et religio". Indietro tutta, diceva Renzo Arbore nei primi anni della Tv spazzatura.


L'ignoranza saziata di spazzatura mentale ha già fatto del Natale una festa consumistica dominata dal munifico 'signore delle renne'. Abbiamo messo un vecchio pancione, simbolo di ricchezza illusoria ed illimitata, al posto del bambino nudo deposto nella mangiatoia.

L'ignoranza può trasformare il crocifisso in un simbolo di guerra e di odio. L'ignoranza può accecare le coscienze fino al delirio. La TV è passata dalle creme dimagranti di Vanna Marchi agli amuleti miracolosi del finto santone brasiliano e ora siamo arrivati alle svendite di razzismo spicciolo di Prosperini.

Si sta affermando una religione senza Dio che fa da sfondo a tradizioni rabberciate e improvvisate. Quanti riconoscono nel proprio cognome le tracce dei turchi, degli spagnoli e degli slavi che hanno contribuito a fondare la nostra identità? Quanti sanno che la presenza rom in Abruzzo è antica di secoli? Quanti conoscono i nomi abruzzesi degli arnesi domestici, dei frutti, delle pietanze?

In questi giorni ho scoperto nuove cose sulle origini della mia famiglia. L'ho fatto grazie ad un libro di Pietro Cupido pubblicato dalla casa editrice Menabò. E' un libro che ricostruisce la storia dei trabocchi, quelle curiose "macchine per pescare" che sono diventate parte essenziale della costa teatina. I trabocchi sono pezzi di paesaggio e di tradizione del territorio teatino, ma sono lì grazie alle immigrazioni di tedeschi e di francesi passati attraverso la penisola iberica prima di giungere sulle coste abruzzesi. La scoperta mi ha consentito di riportare mia madre a San Vito, nella vecchia casa avita. Là c'è ancora l'aranceto che mostra i suoi frutti e racconta anche il senso storico, economico e familiare de "li purthall".

Queste storie provengono dal nostro passato multietnico e ci aiutano a capire la complessità del nostro dialetto nel quale si riconoscono le tracce lasciate dal francese e dallo spagnolo. Della lingua italiana e del dialetto abruzzese riparleremo nella prossima puntata sul turismo.

Buon anno nuovo!

1 commento:

@enio ha detto...

a Chieti mi ricordo, quando abitavo in campagna, le piante di melaranne di li chicocce e di li patane... ma stiamo parlando di un pèeriodo in cui, io nu citelelle, non andavo ancora a scuola. Per quanto riguardano i trabocchi, io li ho trovati estremamente interessanti, anche se sono stati restaurati non tenendo esattamente conto di come erano allora e li ho descritti ampiamente nel mio sito. Comunque auguri di buon anno da Molveno... domani si scia per il secondo giorno consecutivo..